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updated: , August the 10th, 2013

- Il Sole 24 Ore -
- Le Imprese Italiane che non fuggono e la Rivoluzione Tunisina -

Da "IL SOLE 24 ORE" di martedì 18 gennaio 2011

Nelle oltre 700 imprese che operano nel paese riparte l`attività con qualche eccezione italiane
Le aziende non fuggono Timori ma nessun cambio di rotta neanche in Egitto e Algeria Micaela Cappellini «Stamattina il 70% dei nostri dipendenti ha ripreso a lavorare, e se non fosse stato per il coprifuoco e per i trasporti, che ancora vanno a singhiozzo, i presenti sarebbero stati di più.
I più giovani soprattutto, quelli normalmente più demotivati, oggi avevano un`altra faccia».

Giuliana Giunta vive in Tunisia da dieci anni a Menzel Bourguíba, una cittadina del nord che non è stata risparmiata dagli scontri.
È un`imprenditrice, produce elicotteri, nella sua Avionav impiega una trentina di lavoratori locali.
Assalti allo stabilimento? «Nessuno si è avvicinato».

Paura per il futuro del suo investimento? « Nemmeno per idea, anzi.
Era l`ora, di un cambio dì regime».

Giuliana Giunta racconta le difficoltà degli imprenditori italiani, a cui tutto veniva presentato come semplice, ma che poi dovevano scontrarsi con una burocrazia infinita, con una corruzione crescente.
Racconta anche la stanchezza di intere fasce della popolazione, la loro «condivisibile» esasperazione.

Parla di comportamento «corretto» da parte dell`esercito, di provocazioni innescate soprattutto dai miliziani dell`ex presidente Ben Ali, di un cambiamento «salutare».

Con altri imprenditori italiani in Tunisia, Giuliana Giunta ha creato una rete i cui membri, in questi giorni difficili, sono stati in costante contatto via sms:

«Nessun impianto degli imprenditori che conosco è stato attaccato - racconta - e anche chi ha assaltato i depositi di abbigliamento non lo ha fatto per colpire i macchinari».

Certo, non c`è solo la Avionav:

a Riccardo Bordignon, industriale veneto, è stata letteralmente bruciata la fabbrica di articoli tecnici situata nella periferia nord della capitale.
Tornerà in Italia, Riccardo Bordignon:

era pronto a espandersi, ora ha deciso di scrivere la parola fine sotto la sua attività imprenditoriale ìn Tunisia.

All`ambasciata d`Italia a Tunisi non risultano aziende italiane intenzionate a disinvestire e confermano che molte attività ieri hanno riaperto i battenti.

Non fugge la Colacem di Gubbio, che in Tunisia ha il suo più grande investimento degli ultimi dieci anni, un cementificio da zoo milioni di euro e da i8o dipendenti:
«La produzione non si è mai fermata - racconta Giuseppe Còlaiacovo, vicepre- sidente di Colacem e di Cat, la società che opera in Tunisia e abbiamo anche ripreso con le spedizioni.
Tensione ce n`è stata, ma attacchi no: sono stati gli operai stessi a sorvegliare gli impianti».
Anche Colaiacovo è ottimista: « E' un processo di crescita:

c`è già una classe dirigente emergente, giovane e che ha studiato all`estero, pronta a sostituire la vecchia élite».
Non fugge nemmeno la siciliana Calatrasí, che ha un`azienda vinicola in joint venture da 100 dipendenti, 400 ettari di terreno e 700 mila bottiglie di vino di alta gamma prodotte qui ogni anno:

«Sabato sono state effettivamente bruciate alcune aziende straniere vicino a noi - racconta Maurizio Micciché, amministratore unico della Calatrasi ma le nostre maestranze hanno dato vita a un comitato di autodifesa e da noi non è successo niente».
Dall`ENI, infine, non arriva nessuna conferma delle voci che la vogliono in ridimensionamento sulla sponda sud del Mediterraneo.

Secondo gli esperti della Sace, la società italiana che assicura il credito all`export, nell`Africa del nord ci sono altri due sorvegliati speciali.
Uno è l`Egitto:

la tensione religiosa è alta, gli attentati terroristici spaventano gli investitori e la capacità del presidente Mubarak di tenere sotto controllo la disoccupazione e l`inflazione è ai minimi storici, complice la malattia del leader e l`incertezza per l`esito delle presidenziali di fine anno.

L`altro è l`Algeria, dove i primi moti sono già scoppiati e dove il governo è già dovuto correre ai ripari riducendo le imposte sui prezzi dei beni primari del 4 per cento.

Dagli uffici Ice del Cairo e di Algeri, però, non trapela nessun cambio di rotta.
« Ho incontrato in questi giorni alcune imprese italiane dell`abbigliamento, dell`arredamento e dell`impiantistica - dice il direttore dell`ufficio del Cairo, Giuseppe Federico - nessuna ha paura di un effetto contagio dalla Tunisia».
Identica la posizione deltitolare dell`ufficio di Algeri, Giuseppe Agostinacchio, che però aggiunge:
« Le nostre aziende, semmai, sono preoccupate dalle tendenze protezionistiche che hanno cominciato amanifestarsi in Algeria già dall`anno scorso, e che pongono restrizioni all`importazione di beni e paletti a chi vuole investire direttamente nel paese».

micaelo.cappellini@itsole24ore.com a RIPRODUZIONE RISERVATA


Giuliana Giunta (Avionav) racconta le difficoltà dovute a burocrazia e corruzione sotto Ben Ali: «Era ora di un cambio di regime»

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